“All eyes on Rafah: ecco perché gli occhi devono aprirsi ovunque
“All Eyes on Rafah”, recita la storia Instagram pubblicata da 45 milioni di persone in poco più di 24 ore. Solo un trend o occhi che si sono aperti per davvero? Istinto gregario o persone che prendono posizione? L’auspicio che si tratti della seconda alternativa non batte l’amarezza della verità della prima. Una mera e repentina abluzione della propria coscienza per molti, che per lo meno, ha concesso a chi non l’aveva mai fatto prima, di porsi qualche domanda e indagare un po’ più a fondo. Pare inverosimile e incollerisce, pensare che qualcuno abbia scoperto cosa si intendesse con quella frase e la catastrofe umanitaria che essa celasse solo ieri: è proprio questo, però, che ci fa capire perché è importante parlare di Palestina, anche e soprattutto nelle piccole realtà.
D’altronde, nella società del consumo di oggi, in cui, ammaliati dalle tendenze superficiali, siamo calati in una visione del mondo individualista e limitata alle singole aree di interesse personale, spesso tende a sfuggire ciò che di più grave è sotto ai nostri occhi e a pensare che tutto ciò che accade al di fuori della nostra zona sicura ed ovattata non sia degno di attenzione perché “lontano”. Quel benessere personale agognato da tanti, però, bisognerebbe capire, è strettamente connesso alle vicende globali, ed influenzato da mostri molto più grandi delle nostre superficiali necessità. Nelle piccole realtà, il pensiero comune è quello, omertoso ed ignavo, del ”noi abbiamo i nostri problemi” “perché pensare anche a quelli degli altri?”. L’unico problema reale che abbiamo nelle nostre città però, è la disinformazione proprio intorno agli avvenimenti considerati “lontani” e “intangibili”. Per questo, alla luce di quello che succede a Gaza, è impossibile pensare che la cosa non ci tocchi. In un’epoca in cui etica e morale sono un lontano ricordo attribuibile a pochi, bisognerebbe aprire gli occhi su quelle questioni che si pensa tocchino solo gli altri e non noi. Come può la vita scorrere tranquilla se il nostro Paese è complice di un genocidio nei confronti di innocenti? Come può una città di media grandezza come Nola interessarsi solo di mercato del mercoledì dislocato o di strade accidentate, quando dal 1995 in località Boscofangone si trova una delle sedi più importanti nel Sud Italia del gruppo industriale Leonardo s.p.a, in prima linea per i finanziamenti bellici ad Israele, a doppio filo legata con la sua politica genocidiaria? Un’azienda bellica, che si dice “Protagonista dei principali programmi strategici a livello globale, partner tecnologico di Governi, Amministrazioni della Difesa” (cfr. sito ufficiale leonardo.com). Giri infiniti di soldi, completa assenza di moralità: solo nel 2013 Giuseppe Giordo, Amministratore Delegato del sito di produzione Alenia Aermacchi (di Nola), parlava di finanziamenti di oltre 70 milioni di euro per migliorare l’efficienza produttiva del sito. Davvero ci sta bene? Davvero, nonostante video di corpi che bruciano, bambini mutilati, donne violentate, più di 35.000 morti e 76 anni di pulizia etnica da parte del governo sionista di Israele, questi occhi li vogliamo tenere aperti solo il tempo di una storia, accettando di convivere, a Nola, così come a Napoli o come a Milano, con i complici di un genocidio e di esserlo noi stessi, ogni volta che ci giriamo dall’altra parte?
Perché è importante parlare, veramente, di Palestina? Perché la questione ci circonda, influisce sui nostri studi, sul nostro lavoro, sulla nostra dimensione etica, sulla nostra idea di mondo e di valori. Per abbandonare l’idea utopistica di un mondo facile e felice, per avere un’opinione formata e stare dalla parte giusta della storia, ma soprattutto per reimparare a dissentire, a prendere posizione contro l’ignavia di chi è più in alto di noi, per umanizzare il nostro pensiero in una società che ci vuole macchine e non umani. Tutti gli occhi su Rafah: sì, ma per davvero. Come? Informandoci attraverso canali reali di comunicazione non condizionata dall’alto, riflettendo sui massacri di innocenti che avvengono ogni giorno nella striscia di Gaza, riflettendo su quanto ognuno sia complice e implicato, esprimendo dissenso: una goccia può smuovere il mare.