Il ritorno dell’inflazione: cause e conseguenze fra timori e prospettive

Nel mese di febbraio 2022 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) ha registrato un aumento dello 0,9% su base mensile e del 5,7% su base annua (rispetto al +4,8% di gennaio). In particolare, l’inflazione è trainata dai beni energetici (che segnano un balzo dal +38,6% di gennaio al +45,9%) e dai beni alimentari, sia lavorati (da +2,2% a +3,2%) sia non lavorati (da +5,3% a +6,9%). Inoltre, il boom dei prezzi riguarda soprattutto i beni (da +7,0% a +8,6%), mentre variano di un solo decimo di punto i servizi (da +1,8% a +1,9%). Analoga è la situazione nell’eurozona, dove il livello dei prezzi ha registrato un +5,9% (rispetto al +5,1% di gennaio), confermando il trend ascendente. Dunque, l’inflazione si attesta su valori decisamente elevati, in particolare per i paesi della zona euro, che dall’introduzione della moneta unica hanno sempre mantenuto livelli stabili, prossimi al 2%. Sono quattro le cause che hanno provocato la fiammata inflazionistica.
La prima dal punto di vista temporale è rappresentata dalle riaperture delle attività in seguito alle misure di lockdown adottate nella gran parte dei paesi al mondo per arginare il dilagare della pandemia. Con il ritiro delle prime restrizioni, dal punto di vista della domanda, molti consumatori hanno effettuato acquisti che avevano temporaneamente rimandato durante il periodo di chiusura. Mentre dal punto di vista dell’offerta, le aziende hanno incontrato difficoltà nel ricostituire le catene di approvvigionamento colpite dalla pandemia. In particolare sono emersi problemi come, ad esempio, la carenza di container che hanno innalzato i costi di trasporto delle merci. Sia l’aumento improvviso della domanda che il crollo dell’offerta hanno concausato l’incremento dei prezzi, fenomeno noto in economia come la “legge della domanda e dell’offerta”.
In secondo luogo si è assistito in questi ultimi mesi a un forte rincaro dei prezzi dell’energia, provocato da fattori riconducibili al cambiamento climatico: nel Regno Unito il calo di intensità dei venti ha frenato il meccanismo delle pale eoliche, in Brasile la siccità ha impedito l’azione efficiente delle centrali idroelettriche, in Europa le basse temperature dell’inverno scorso hanno danneggiato le riserve di gas e petrolio. L’inflazione in Europa, come riportano i dati Eurostat, è fortemente trainata dal rincaro energetico che sta raggiungendo in media livelli fino a cinque e sei volte superiori a quelli dello stesso periodo dell’anno precedente e difficilmente sostenibili nel medio termine, segnando un +17,6% rispetto a settembre 2020. A tal riguardo la situazione è destinata a peggiorare per via del conflitto in corso tra la Russia e l’Ucraina, e l’emergere di quella che sembra a tutti gli effetti una nuova guerra fredda, che sta causando un’impennata dei prezzi di energia, gas, materie prime e petrolio. La benzina ha registrato un balzo di 8 centesimi in media nella settimana tra il 28 febbraio e il 6 marzo scorso, raggiungendo quota 2,217 al litro. La causa principale dell’aumento del prezzo della benzina è l’andamento del Brent, il petrolio estratto nel Mare del Nord. Negli ultimi mesi il prezzo del Brent è aumentato di quasi il 10%, ed è esploso in seguito all’invasione della Russia in Ucraina. Ciò è stato provocato dalla decisione dell’Opec+, il cartello di 23 paesi produttori di petrolio (in cui è presente anche la Russia), di mantenere invariati i piani di produzione, nonostante la richiesta di aumento degli Stati Uniti per farne diminuire il prezzo. Altra causa è il tasso di cambio sfavorevole tra euro e dollaro che conferma la svalutazione dell’euro.
Altro fattore importante da tenere in considerazione è che l’inflazione viene calcolata matematicamente attraverso una serie di componenti tra cui l’inflazione dell’anno trascorso, quando l’eurozona ha goduto di un livello dei prezzi particolarmente basso. Questo dipese dalla prima ondata della pandemia che fece segnare fluttuazioni al ribasso, talvolta negative, dell’inflazione e anche dalla riduzione dell’iva in Germania, passata dal 19 al 16% per quella ordinaria e dal 7 al 5% per quella ridotta, intrapresa come politica fiscale espansiva per aumentare i consumi e rilanciare il turismo. Questo fenomeno è noto in economia come “effetto base”, ossia l’effetto distorsivo provocato dal confronto tra due livelli differenti di inflazione.
Infine, l’ultimo fattore che ha causato l’aumento generale dei prezzi è riscontrabile nei programmi di acquisto avviati dalle banche centrali per fronteggiare la recessione dovuta alla pandemia e consentire agli stati i finanziamenti necessari per la spesa sanitaria e ristori alle attività chiuse. Nell’eurozona la Bce ha avviato il PEPP (Pandemic emergency purchase programme), con il quale può effettuare acquisti di strumenti finanziari quali titoli di Stato, titoli emessi da istituzioni sovranazionali europee, obbligazioni societarie, tra i 15 e gli 80 miliardi di euro al mese. I prezzi di queste attività salgono e, quindi, i tassi di interesse scendono, riducendo il costo del debito per le persone, le imprese e i governi. Dunque, da un lato la grande mole di liquidità iniettata nelle nostre economie è riuscita a frenare l’emergere di una nuova crisi di natura finanziaria, mentre dall’altro ha comportato un aumento dell’inflazione.
Ciò che ci si aspettava inizialmente nei primi mesi del 2022 era una progressiva riduzione del livello medio dei prezzi. Infatti, molte cause, come ricordato dalla presidente della Bce, Christine Lagarde, sono transitorie: lo squilibrio tra domanda e offerta verrà riassorbito, le carenze di materiali saranno ovviate e l’effetto base si eliminerà con le nuovi misurazioni. Ciononostante, malgrado l’ottimismo più volte dimostrato da Lagarde, la situazione sembra essere meno rosea del previsto, dato il perdurare del rincaro energetico e il persistere delle aspettative al rialzo sull’inflazione, ragioni per cui il Consiglio direttivo ha recentemente annunciato la graduale riduzione del ritmo di acquisto dei titoli di stato europei: la Bce si appresta, dunque, a ritirare la liquidità immessa nei mercati con una probabile riduzione del PEPP. Tuttavia il coinvolgimento sotto il fronte economico dei paesi dell’eurozona nella guerra in Ucraina ha messo in luce nuove sfide da fronteggiare, motivo per cui Lagarde ha precisato che la Banca centrale europea è pronta a fare marcia indietro sui suoi piani di riduzione dello stimolo monetario, qualora fosse necessario di fronte ai rischi posti dalla guerra.

Gianmarco Accardo

L'ora di Economia

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