Il crollo demografico: Pandemia, precariato e i nodi di un’Italia che invecchia


In Italia i figli sono sempre meno. È quanto emerge dal bollettino dell’Istat Natalità e fecondità della popolazione residente 2020 che sancisce il nuovo record negativo di nascite.
“Nel 2020 i nati sono 404.892 (-15 mila sul 2019). Il calo (-2,5% nei primi dieci mesi dell’anno) si è accentuato a novembre (-8,3% rispetto allo stesso mese del 2019) e dicembre (-10,7%), mesi in cui si cominciano a contare le nascite concepite all’inizio dell’ondata epidemica”.

La riduzione del numero di nati è proseguita nel corso del nuovo anno, raggiungendo nel gennaio 2021 il minimo storico di nascite a livello nazionale (-13,6%), con picco al Sud (-15,3%). La causa principale si riscontra nella pandemia, che tuttavia ha soltanto accentuato un trend da anni crescente in maniera esponenziale. Se l’andamento della denatalità non verrà invertito, emergeranno una serie di problemi sociali ed economici in parte già visibili tutt’oggi, primo tra tutti la sostenibilità del sistema pensionistico. Nel maggio 2020 il centro studi della CGIA di Mestre ha pubblicato un rapporto nel quale è emerso che “il numero delle pensioni erogate in Italia ha superato quello degli occupati”. Ciò è conseguenza, oltre che dell’aumento della speranza di vita e della crescente spesa per pensioni, in primo luogo della drastica riduzione del tasso di fecondità, e, dunque, dell’invecchiamento della popolazione. Essendo il nostro sistema pensionistico basato su un patto generazionale per il quale la generazione uscente dalla forza lavoro verrà mantenuta dai nuovi lavoratori occupati, un numero minore di giovani renderà sempre meno sostenibile la spesa pensionistica.
In secondo luogo, la crisi demografica comporta una riduzione del reddito. Infatti, venendo a ridursi la popolazione che lavora, il Pil decresce e vi saranno meno risorse per rifinanziare il sistema di welfare. A tal riguardo viene in sostegno la teoria macroeconomica, in particolare il Modello di Solow, per il quale in stato stazionario il tasso di crescita della produzione dipende dal tasso di progresso tecnologico e dal tasso demografico. Un calo delle nascite comporterebbe, quindi, una riduzione del tasso di crescita.


Inoltre, in una nota pubblicazione della Banca di Italia, intitolata Il contributo della demografia alla crescita economica: duecento anni di storia italiana di Federico Barbiellini Amidei, Matteo Gomellini e Paolo Piselli (2018), viene esaminato come, attraverso una scomposizione contabile della crescita del PIL e del PIL pro capite, le modifiche nella struttura per età della popolazione abbiano prodotto nel passato più lontano un demographic dividend positivo, ossia una crescita economica generata dai cambiamenti nella composizione per età di una popolazione, ottenuta quando la quota della popolazione in età lavorativa (da 15 a 64 anni) è maggiore della quota della popolazione in età non lavorativa (minori di 14 anni e più grandi di 65).

Dunque, gli studiosi sostengono che negli ultimi venticinque anni, e con ogni probabilità nel futuro, la demografia ha dato e darà un contributo diretto sensibilmente negativo alla crescita economica (dal momento che il numero dei nati sta visibilmente diminuendo). Gli autori intravedono una risoluzione degli effetti meramente contabili del problema attraverso l’estensione della vita lavorativa, l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro e l’incremento dei livelli di istruzione.


Secondo l’Eurostat l’Italia è destinata a dimezzare la sua popolazione a quota 30 milioni entro il 2100. Nel report della Banca Mondiale del 2015 Development in an Era of Demographic Change si legge: “La migrazione può aiutare l’adeguamento dei paesi al cambiamento demografico disomogeneo. Gli immigrati più giovani possono aiutare ad alleviare le pressioni dell’invecchiamento della popolazione nei paesi in ritardo, migliorare le prospettive di crescita e garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche nei paesi di destinazione”. Sebbene l’apporto dei migranti possa momentaneamente tamponare il crollo demografico, diversi modelli statistici mostrano nelle loro previsioni che il trend della natalità continuerà la sua corsa al ribasso. Sarebbe pertanto auspicabile un celere intervento politico finalizzato alla rimozione dei fattori ostacolanti per le giovani famiglie, primo tra tutti l’incertezza economica acuitasi con la recente crisi finanziaria e con l’attuale crisi sanitaria, passando attraverso una stabilizzazione del lavoro precario. Secondo l’indagine condotta dal Consiglio nazionale dei giovani su un campione di 960 ragazzi tra i 18-35 anni, a cinque anni dal completamento degli studi il 37,2% ha un lavoro stabile, il 26% ha rapporti a termine, il 23,7% è disoccupato e il 13,1% è studente-lavoratore. Di questi solo il 6,5% ha figli, mentre il 60,9% vorrebbe averne quando avrà condizioni più solide e il 32,6% afferma di non volerne avere neppure in futuro. La presidente del Cng Maria Cristina Pisani commenta: “Un presente di instabilità e un futuro di indigenza stanno cancellando il diritto al futuro di un’intera generazione”. La via maestra per l’uscita dall’emergenza non può che passare da qui.

Gianmarco Accardo

L'ora di Economia

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