Economia – La Fed smonta il bazooka: tapering entro il 2021| Approfondimento
Mentre gli occhi del mondo sono fissi con accorata preoccupazione a Kabul, lo scorso 27 agosto si è tenuto il tradizionale appuntamento di fine estate a Jackson Hole (Usa) che riunisce i banchieri di tutto il mondo. Particolarmente atteso era l’intervento del presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, riguardo un possibile inizio del tapering, ossia la riduzione degli stimoli straordinari lanciati dalla Fed in vista di un ritorno graduale alla normalità monetaria. Il banchiere centrale senza mezzi termini ha aperto alla diminuzione degli stimoli di politica monetaria: «Se l’economia continua come prevediamo – ha dichiarato Powell – sarà giusto cominciare a ridurre il ritmo di acquisti di bond sui mercati». Allo scoppio della pandemia la Fed ha prontamente avviato il suo programma di contrasto alla recessione: tassi d’interesse a zero e acquisti di titoli per 120 miliardi di dollari al mese. Con l’avvio del tapering la liquidità immessa sarà gradualmente ritirata, venendo a ridursi il cosiddetto quantitative easing, ossia l’acquisto di titoli di stato da parte della banca centrale per aumentare la moneta in circolazione e stimolare la crescita economica e occupazionale degli statisostenendo il loro debito pubblico.
Quello che potrebbe sembrare un harakiri economico ha delle ragioni ben precise. L’immissione di liquidità a cui abbiamo assistito nell’ultimo anno negli Stati Uniti e altrove (Europa compresa) ha generato una vera e propria fiammata inflazionistica, spingendo i prezzi in rialzo. Secondo i dati diffusi l’11 agosto dal Dipartimento del lavoro Usa il tasso di inflazione americano rimane a +5,4%, assestandosi ai livelli più alti dal 2008, con un incrementomensile dello 0,5%. Spingono il settore alimentare (+ 0,7%), energetico (+1,6%) e quello del carburante (+2,4%). Nell’ultimo anno i prezzi energetici sono aumentati del 23,8%, con l’indice sul carburante che ha registrato unpreoccupante +41,8%.
Nonostante il surriscaldamento dell’economia americana, che da mesi era messo in risalto da un’inflazione in forte crescita, i vertici della Fed hanno preferito accantonare l’obiettivo del 2% come target di riferimento della crescita dei prezzi e continuare con una politica monetaria accomodante, che sostenesse in maniera efficace il mercato del lavoro. Non a caso il tasso di disoccupazione, che aveva raggiunto il 10% nei mesi del lockdown, si è ribassato a unpiù ragionevole 5,4%, contando 6 milioni di disoccupati. Questa politica iperattiva ha conseguito anche altri obiettivi, come il miglioramento delle condizioni di vita delle fasce lavorative più deboli che hanno visto una crescita dei salari del 4,6%. Ciononostante il rincaro dei prezzi pregiudica quanto ottenuto finora, dal momento cheun’inflazione eccessivamente alta va a erodere il potere di acquisto dei lavoratori, in particolare quelli dipendenti e i pensionati. Dunque, per preservare la stabilità dei prezzi èfondamentale la credibilità del banchiere centrale. Più volte Powell ha espresso la sua preoccupazione in merito all’accelerazione dei prezzi, tuttavia ha sempre ribadito che l’aumento è soltanto temporaneo, legato alla forte espansione monetaria di questi mesi. A Jackson Hole, spinto dalla pressione dei falchi della Federal Open Market Committee, il banchiere statunitense ha annunciato l’avvio della progressiva riduzione degli aiuti, seppur dimostrandosi molto cauto. Powell, infatti, non ha definito una tabella di marcia, ma ha solo sottolineato che sia “appropriato ridurre gli acquisti da quest’anno”. La dottrina Powell prevede molta prudenza a tal riguardo, infatti una prematura riduzione degli aiuti si rivelerebbe senz’altro dannosa, dati gli scenari incerti legati alla variante Delta.
Altrettanto dubbio cosa succederà nell’eurozona, dove l’emissione dei titoli è stata altrettanto massiccia. Il programma PEPP (pandemic emergency purchaseprogramme), avviato nel marzo 2020, prevede l’acquisto temporaneo di titoli del settore pubblico e privato, per un totale di 1850 miliardi di euro. Anche i suoi effetti non sono tardati ad arrivare, sebbene in misura più contenuta rispetto a quanto visto negli Usa. Secondo la stima preliminare di Eurostat, il tasso di inflazione nell’eurozona ad agosto si è attestato al 3% su base annuale, aumentando rispetto al 2,2% di luglio. In Germania, dove si sconta anche il ripristino dell’Iva dopo il taglio temporaneo, i prezzi registrano un incremento del 3,8%, valore più alto dal 1993.In Italia l’inflazione segna un balzo del 2,1% (da +1,9% del mese precedente). A spingere soprattutto l’energia (15,4%), i beni industriali (2,7%), alimentari, alcolici e tabacco (2%) e i servizi (1,1%). Per ora i vertici della Bce non sembrano intenzionati a ridurre il piano di acquisti. La rassicurazione arriva da Francois Villeroy, governatore della Banque de France e membro del direttivo della BCE. Il banchiere ha spiegato che la Banca centrale europea non ha fretta potendo regolare, al contrario della Fed, il volume di acquisti settimanalmente con estrema flessibilità. Per cui difficilmente Francoforte opterà per una contrazionemonetaria nel breve. Di parere opposto è Jens Weidmann, presidente della banca centrale tedesca, dichiarando al simposio della Bundesbank: “Nella mia opinione i rischi al rialzo attualmente sono predominanti. Se questi fattori temporanei dovessero portare ad aspettative di inflazione più elevate e a un’accelerazione della crescita dei salari, il tasso di inflazione potrebbe aumentare notevolmente nel lungo termine”. Weidmann ha aggiunto che una politica monetaria espansiva è ancora appropriata in questa fase, tuttavia la Bce dovrebbe anche prepararsi alla fine del suo programma di acquisti di emergenza pandemica (Pepp), poiché l’economia è ormai in piena espansione e l’inflazione è in aumento. Si apre dunque lo scontro all’Eurotower tra i falchi, favorevoli a manovre restrittive, e le colombe, sostenitori delle politiche espansive.
L’ora di Economia